Dal Dizionario Biografico degli Italiani Treccani- Volume 32 (1986)
DARDANI, Paolo
Figlio di Giuseppe e di Teodora Merelli, nacque a Bologna, nella parrocchia di S. Michele de' Leprosetti, il 24 apr. 1726 (Bologna, Arch. generale arcivescovile, Battezzati, ad annum, f. 106). Come tutti i membri della famiglia Dardani, fu avviato fin da ragazzo allo studio del disegno e della pittura. Suo primo maestro fu il padre e si perfezionò quindi nella pittura di paesaggio, ma frequentò anche la bottega dello zio Antonio, pittore "universale" formatosi alla scuola dei Viani. La sintesi delle due esperienze, paesistica e di figura, avvenne per il D. nel genere delle battaglie, per il quale acquisì una certa rinomanza.
Il genere delle battaglie, diffuso dai seguaci di S. Rosa, dei Courtois e attraverso le numerose incisioni, aveva avuto maggiore impulso a Bologna in seguito alla venuta in città del battaglista Francesco Simonini.
Il D. si dedicò, inoltre, alle opere di decorazione muraria, alla pittura scenografica e ai quadri d'appartamento. Una nota biografica fornita dal D. stesso a Marcello Oretti è la migliore fonte per la ricostruzione della sua vita. Sua prima opera fu la decorazione di una sala con grandi "paesi" a tempera nel palazzo Hercolani di strada Maggiore a Bologna (scomparsa). Aveva già una certa notorietà, tanto che nel 1752 fu invitato da Gian Carlo Sicinio Galli Bibiena a seguirlo a Lisbona ove era stato chiamato ad allestire alcuni teatri di corte.
Incoraggiato dal padre, partì per il Portogallo imbarcandosi da Genova il 27 genn. 1752. A Lisbona il gruppo guidato dal Bibiena, composto tra gli altri da G. Azzolini e G. Berardi, oltre ad arredare teatri (il teatrino nella "casa da India" vicino al palazzo reale, e il teatro di Salvaterra) allestì diverse scenografie per vari spettacoli di corte.
A differenza di molti altri componenti della spedizione, tra i quali erano lo stesso Bibiena e l'Azzolini, il D., dopo quasi tre anni di permanenza in Portogallo, ritornò a Bologna (non se ne conosce il motivo). L'esperienza di viaggio e di lavoro portoghese rappresentò per l'artista bolognese un episodio di importanza tale da suggestionarlo per il resto della sua vita sia sul piano umano sia nella produzione artistica.
Durante il periodo trascorso a Lisbona, oltre a lavorare nelle scenografie teatrali, il D. dipinse quadri di paesaggio con figure e battaglie per diversi personaggi influenti che egli stesso menziona: il direttore delle reali fabbriche P. F. Ludovici e il "cardinale di San Miguel". Il D. ci riferisce di viaggi compiuti in nave a Benavente e a Salvaterra, dove vide la caccia alla balena e, cosa di rilevante interesse per i riflessi successivi sulla sua produzione, rivela che anch'egli, come il padre, teneva un album sul quale copiava sistematicamente quanto lo interessava: paesaggi, monumenti architettonici, porti e forse figure caratteristiche. Di questo diario grafico, nel quale tra l'altro raffigurò la città di Lisbona prima del terremoto che la distrusse nel 1755, purtroppo non ci è pervenuto nulla; ma il D. stesso racconta d'avere utilizzato, dopo il suo rientro in patria, immagini tratte da un album di disegni per eseguire quadri di paesaggio e decorazioni purtroppo dispersi. Per il padre Savorgnani dipinse infatti due quadri rappresentanti uno "la caccia alla balena", vista a Salvaterra, l'altro "la caccia dell'elefante", racconto certamente ascoltato da mercanti o naviganti portoghesi provenienti dall'Africa o dall'Asia (Oretti).
Nelle sale del palazzo dell'arcivescovo di Bologna in Cento dipinse ancora nel 1765 - dieci anni dopo la partenza da Lisbona - porti e paesaggi di quella capitale. È sufficientemente documentata la sua attività nella pittura di scene teatrali. Nel 1766 lavorò per il teatro Onigo di Treviso (Oretti), due anni dopo per il teatro Comunale di Bologna dipinse le scene dell'opera L'isola disabitata di T. Traetta su libretto del Metastasio (Ricci, 1888, pp. 206, 488); nel 1776 con Francesco Orlandi lavorò a Reggio Emilia, al teatro Antico, per le scene del Montezuma di P. Anfossi (Campori, 1855), con Gaetano Alemani nel 1777 preparò le scene per la Contadina incivilita di P. Anfossi nel teatro Zagnoni di Bologna e in quello stesso anno dipinse "una boschereccia" per il teatro Comunale (Ricci, 1888, p. 108). Negli anni 1782, 1784, 1786, 1788 - ultimo anno di vita - sono accertate sue opere di scenografia in vari teatri bolognesi (ibid., pp. 488, 494).
Numerosi sono inoltre i riferimenti a suoi lavori di decorazione murale a tempera, in genere grandi composizioni paesistiche con o senza figure, e a quadri di minore dimensione ad olio di uguale soggetto o di battaglie.
Non sono più rintracciabili le pitture di palazzo Amorini, del palazzo senatorio Sampieri, dei palazzi Lambertini, Carbonesi, della villa del card. Malvezzi alla Viola, delle case Legnani, Lunghi (Guida...,1792), nonché dell'Orto botanico (una "boschereccia di piante africane" [ms. Gozzadini]). Dipinse anche "paesi" di fondo a scene figurate da altri pittori. Nel 1762, inoltre, dipinse "tutto il paese" nel sepolcro eretto da altri artisti, tra i quali R. Compagnoni, nella chiesa di S. Maria delle Muratelle (Oretti; Guida..., 1792).
Se nel genere del "paese" e delle battaglie il D. si sentì sicuro, non altrettanto avvenne per quanto riguarda la figura. Appena rientrato a Bologna, si diede a frequentare assiduamente la scuola del nudo e continuò in piena maturità a partecipare a concorsi di pittura. Nel 1775 ottenne il premio di prima classe al concorso dell'accademia di Parma con il quadro a olio dal titolo Il Tevere predice ad Enea la grandezza di Roma (Parma, Galleria nazionale).
Della sua molteplice attività ci rimangono oggi, oltre al saggio parmense, due quadri di soggetto sacro: un S. Antonio abate, firmato e datato 1777, nella chiesa di S. Francesco a Molinella (Bologna; cfr. Rapporto della Soprintendenza alle Gallerie, I,Bologna 1968, p. 40); un S. Emidio vescovo, sottoquadro un tempo in S. Giacomo Maggiore ed ora in collezione privata a Bologna, e quattro disegni a penna siglati, rappresentanti battaglie, conservati ed esposti nella Galleria Davia Bargellini di Bologna.
L'ambiente accademico bolognese apprezzò molto il D. e (1766) lo elesse accademico effettivo in qualità di pittore "battaglista"; il 2 gennaio di quell'anno era stato eletto accademico il cugino Luigi che possedeva quattro quadri del D. che rappresentavano "le ore del giorno" (Oretti). All'interno dell'Accademia Clementina ricoprì diversi incarichi, compreso quello didattico di "direttore" non soltanto per il genere specifico di battaglia, ma anche per la "figura" (1786).
Il D. morì a Bologna il 9 luglio 1789.
D. Piò, che ne scrisse il "necrologio" negli Atti dell'Accademia Clementina, ce lo tratteggia come persona simpaticamente portata a mitizzare le sue esperienze portoghesi, molto attiva nella professione e nello studio della sua arte e, nonostante l'intenso lavoro svolto, decorosamente "povero".
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. generale arcivescovile, Mensa, filza 170, n. 1379;Ibid., Accad. di belle arti, Atti dell'Accad. Clementina, II, (1764-1782),c. 123; III (1782-88), cc. 21 s. (necrol.), 49 s. e passim;Ibid., Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, ms. B. 95: M. Oretti, Vite di pittori scritte da loro medesimi, c. 30;Ibid., ms. B. 134:Id., Notizie dei professori del disegno…, c. 44;Ibid., Mss. Gozzadini 186, c. 202; Guida... di Bologna..., Bologna 1792 (cfr. Indice, in Ist. per i Beni artist. ... della Reg. Emilia Romagna, Documenti, 8,Bologna 1979, p. 64);C. V. Machado, Collecão de memorias…, Lisboa 1823, p. 189; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, pp. 177, 338, C. Ricci, I teatri di Bologna nei secc. XVII e XVIII, Bologna 1888, pp. 108, 206, 488, 494; P. Martini, Guida di Parma, Parma 1870, p. 17; C. Ricci, La R. Galleria di Parma, Parma 1896, p. 3;R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800, Bologna 1977, p. 255;L. Samoggia, La scuola familiare e l'esperienza portoghese nella pittura di P. D.,in Il Carrobbio, VII (1981), pp. 380-87;U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 395; Encicl. d. Spettacolo, IV, coll. 176 s.
Da "Guida del forestiere per la città di Bologna e suoi sobborghi"
Girolamo Bianconi · 1820
"Dardani Paolo pittore, figlio di Giuseppe egli pure pittore, nacque nel 1726, studiò dal padre, giovanetto andò in portogallo dove dipinse assai. Rimpatriato si distinse per feracità in paesi, ed anche nella figura a olio, a tempra, ed a fresco. Fu membro dell'Accademia Clementina"
Galleria Nazionale di Parma - Palazzo della Pilotta
“Paesista-battaglista”, decoratore, scenografo, Paolo Dardani si avvia giovanissimo allo studio della pittura nella bottega del padre Giuseppe (1693-1753), paesaggista, e in quella dello zio Antonio (1677-1735), “pittore universale”, che si era formato nella Scuola dei Viani. Si specializza in particolare nel genere della battaglia, interpretando con profitto la lezione dei maestri del ’600 (Salvator Rosa e Borgognone) esportati a Bologna da Francesco Simonini (1689-1753).
Noto anche come decoratore, nel 1752 entra nell’équipe di Gian Carlo Sicinio Galli Bibiena, invitato a Lisbona da Giuseppe I di Portogallo per arredare teatri e allestire scenografie per spettacoli di Corte (Samoggia 1981, pp. 380-387). Desideroso di approfondire lo studio della figura, nel 1755 ritorna a Bologna e comincia a frequentare sistematicamente l’Accademia del Nudo. Fra il 1765 e il 1788 lavora come decoratore (Palazzo Amorini, Sampieri, Lambertini; Villa Malvezzi alla Viola; case Legnani, Lunghi; Orto Botanico) e come pittore di scene nei teatri di Treviso, Bologna e Reggio Emilia, conquistando il consenso e la stima dell’ambiente accademico bolognese che, il 1° agosto 1766, lo nomina Accademico Clementino e direttore delle classi di Pittura di battaglia e di figura. Nel 1775 vince il primo premio per la Pittura al concorso di Parma, con il “Quadro, che ha per divisa i versi di Virgilio … eum tenuis glauco velabat amictu / Carbasus, et crines umbrosa tegebat Arundo…” (Pellegri 1988, p. 125) ottenendo l’unico, prestigioso riconoscimento ufficiale come figurista.
Agli artisti, quell’anno, si chiede di rappresentare l’incontro fra Enea e il dio Tevere che, in forma di vegliardo, accorre ad annunciare all’eroe la grandezza di Roma (Eneide, libro VIII, vv. 48-53). La scena si svolge di notte, “al raggio della Luna”: Dardani, “valente paesista” (Martini 1871b, p. 18), apre la composizione in un ampio paesaggio immerso in una luce fredda e diffusa, interrotta a tratti da vibranti bagliori cromatici che ricordano gli “sfavillii”e le “sfaccettature luminose” (Roli 1967, p. 11) dei bei Notturni di Donato Creti (Roma, Pinacoteca Vaticana). Mossa e rotonda è la linea delle figure, “articolate e atteggiate alla più scenografica scuola settecentesca” (Samoggia 1981, pp. 383-384): a sinistra Enea riposa, appoggiato a una roccia come la Fanciulla addormentata nel bosco del disegno di Creti in collezione Peter Kröker a Essen (Roli 1967, n. 20), mentre il Tevere “de l’ameno fiume / placido uscendo” si sporge verso di lui per indicargli la meta. Bella ed elegante, la figura del dio si ispira lucidamente all’incisione, di uguale soggetto, di Salvator Rosa eseguita intorno al 1664 (nella collezione di stampe donate da Benedetto XIV all’Accademia Clementina) e aggiornata dal ricordo del volto del Vecchio di Donato Creti (Bologna, Galleria Comunale d’Arte) anch’esso coronato di foglie d’acqua.
I giudici del concorso usano parole lusinghiere per motivare la vittoria della prova di Dardani, sottolineandone l’ottima composizione e l’abile resa nella rappresentazione delle figure e “del sito veramente acquatico… della tranquillità della notte… del dubbio raggio della luna, che rischiara le sponde” (Pellegri 1988, p. 126).
Un secolo dopo il Martini (Martini 1871b), nella sua Guida, descriverà in maniera diffusa il quadro del pittore bolognese lodandone ancora la capacità “di figurare la luce notturna” e, “la verosimiglianza, fino al segno possibile” con cui riuscì a rappresentarla.
Della consistente produzione del Dardani non rimangono che il quadro della Pinacoteca di Parma, un Sant’Antonio, firmato e datato 1777, nella chiesa di San Francesco a Molinella, un Sant’Emidio vescovo, in collezione privata a Bologna e quattro disegni di battaglie a penna, siglati, conservati nella Galleria Davia Bargellini di Bologna. (S.L.)
Pinacoteca Nazionale di Bologna
Cortile interno di un grandioso edificio: una scalea a più rampe spezzate si appoggia su un portico sostenuto da alte colonne ornate da dadi alla base, mentre sopra la scalea si erge un altro portico simile che confluisce in un grandioso androne. A penna e inchiostro bruno con acquarellatura dello stesso inchiostro.
Entrato in Pinacoteca come "Penna seppia rappresentante interno di sontuoso edificio con portici e logge e con scalea. Sec. XVIII. Carattere dei Bibiena" (RCGE) questo piccolo foglio fu assegnato proprio ai Bibiena da Mauceri nel 1934 ma ha trovato poi una sua ipotetica collocazione nel catalogo di Paolo Dardani grazie all'intervento di Marinella Pigozzi nel catalogo della mostra dedicata a Francesco Fontanesi nel 1988. Può essere accostato ad un altro foglio con studi di architetture, atri, colonnati e scalee sempre della Pinacoteca Nazionale di Bologna, inv. 1577.